Se volessimo provare a rintracciare una formula per il senso di colpa, sarebbe questa:
gioia + paura = senso di colpa!
Il risultato di una particolare miscela conflittuale di 2 emozioni contrastanti.
Questo è quanto sostiene Robert Plutchik nella sua teoria delle Emozioni di base e derivate.
In altri termini il senso di colpa nasce proprio quando avverti il desiderio di agire in un certo modo ma contemporanemante vivi lo stato ti paura per quello che stai desiderando.
E tutto questo stato emotivo intimo si registra non soltalto quando le cose sono state fatte, ma ancor prima, si registrano già all’interno delle tue fantasie.
Si tratta, come tutte le emozioni, del modo attraverso cui comunichiamo la nostra valutazione rispetto alla situazione che stiamo vivendo.
Un modo per far sapere a te stesso che cosa sta accadendo davvero in questo preciso momento.
Se desideri agire in un certo modo che sai perfettamente che ti renderebbe felice, allo stesso tempo avverti un malessere derivato dal fatto che sai che se agirai in quel modo procurerai un dispiacere alle persone che ti amano.
Questo conflitto è il senso di colpa!
Ma come si manifesta il senso di colpa? In che modo nasce e soprattutto perché non riesco a liberarmi da questo senso che mi opprime e a volte mi paralizza?
In questo articolo proviamo a indagare un po’ più da vicino che cosa significa sentirsi in colpa e come è possibile trovare un modo per liberarsi da questo conflitto interiore.
Non è davvero cosa da poco riconoscere la propria colpa e il proprio male. L'essere consapevoli della propria colpa presenta infatti il vantaggio di porsi nella posizione di poter cambiare e migliorarsi. La coscienza della propria colpa può diventare dunque il più potente stimolo morale.
Carl Gustav Jung Tweet
Un nodo alla gola, una morsa allo stomaco, un senso di rimorso:
ecco il corpo della colpa!
Il senso di colpa è un’emozione, un sentimento angosciante, opprimente.
Morde dall’interno. Un morso segreto, spesso paralizzante.
Ti senti colpevole per non essere riuscito a fare bene come ci si aspettava da te;
ti senti in colpa per essere un peso per gli altri,
ti senti in colpa per aver detto ciò che pensavi, o di non averlo detto,
ti senti in colpa di provare astio verso una persona,
ti senti in colpa di provare attrazione sessuale per un’altro uomo o un’altra donna,
ti senti in colpa delle scelte o degli insucessi di tuo figlio,
di aver fallito nella sua educazione,
ti senti in colpa di far soffrire le persone che ami,
ti senti in colpa per il riposo che ti concedi,
ti senti in colpa per tutto quello che fai come se fosse tutto sempre sbagliato,
ti senti in colpa se non ami abbastanza o se ami troppo,
ti senti in colpa di vivere, di esistere, di respirare autonomamente.
Spesso sono questi i contenuti del senso di colpa.
Un senso generale di inadeguatezza che si manifesta con il sentirsi sempre debitori:
come se tu fossi costantemente nella condizione di dover-dare.
Uno stato per cui il tuo tentativo è quello di dover ripagare un debito.
Un debito che di fatto non si esaurisce mai, nonostante il tuo sacrificio.
Se ti senti in colpa:
Ma che cos’è allora, il senso di colpa? Perché mi capita di sentirmi in colpa per delle cose di cui non sono responsabile?
Proviamo a vedere un po’ meglio da vicino che cos’è questo senso di colpa e quali sono gli aspetti tipici del suo funzionamento e del suo significato possibile.
Sentendosi in colpa, la persona, non solo si illude di avere un potere, ma esercita anche il ruolo attivo di punirsi e con ciò si dà un valore.
Marco W. Battacchi Tweet
«Il senso di colpa è una risposta spiacevole alla constatazione di aver ingiustificatamente trasgredito una norma o causato un danno ad altri con un’azione o con la sua omissione, assumendosene la resposabilità;
la prima funzione del senso di colpa è quella di comunicare, a sé e agli altri, di essere colpevoli.»
Questo è quanto affermava Marco Battacchi, nel suo libro Colpa e vergogna. In psicologia e nella letteratura.
Sicuramente, si può dire che il senso di colpa è un fatto interno, intimo, non un fatto sociale, come può essere invece la vergogna.
Benché si innesci esclusivmente all’interno di una relazione, il senso di colpa è interiore: si manifesta come una punizione inferta a se stessi.
Da questo punto di vista, Marco Battacchi distingueva 2 tipi di senso di colpa:
Detta in altri termini, esisterebbero due livelli distinti di colpa, per cui:
Da questo punto di vista, inutile dire che il senso di colpa ha un rapporto diretto e consequenziale con la trasgressione:
Come si accennava prima, per quanto riguarda il primo punto credo sia facilmente intuibile:
c’è una norma socialmente condivisa, magari anche scritta, che tu con il tuo comportamento hai infranto e per questo ti senti in colpa.
Ti senti in colpa perché non era quello che volevi, perché non vuoi essere visto come uno che trasgredice alle regole e per questo ti senti male: non ti piace l’idea che gli altri possano pensare male di te.
Rispetto a questo punto allora, la colpa si può superare ammettendo la propria responsabilità, il proprio errore. Ma soprattutto, prendendo consapevolezza e legittimando il fatto che in te possa esistere un limite del tutto umano.
Affermare legittimamente a te stesso allora, che anche tu puoi commettere errori, puoi fare degli sbagli, puoi arrecare un danno, ti solleva parzialmente dal tuo senso di colpa.
Perché dico «parzialmente»?
Beh, perché il senso di colpa si porta dietro inevitabilmente anche il secondo aspetto che dicevamo prima: il trasgredire le aspettative dell’altro!
Rispetto alla possibilità di trasgredire le aspettative che l’altro ha sul tuo comportamento, il senso di colpa che avverti è frutto di una lacerazione, di un tradimento di un patto non scritto all’interno di una relazione.
Ha a che fare con la tua relazione con l’altro, e le aspettative che l’altra persona nutre verso di te e verso i tuoi comportamenti.
Ci si aspetta da te un particolare comportamento. Soprattutto se si tratta di relazioni importanti, le aspettative circa il tuo modo di agire o di rispondere ad una particolare situazione, saranno consolidate.
Tutti si aspettano che tu ti comporterai in un certo modo, che non ti lamenterai per una data situazione, che sarai sempre disponibile a tutte le richieste.
Agire un comportamento diverso rispetto alle attese è una forma di tradimento che pagherai con un senso di colpa.
Una cosa sembra essere molto importante da considerare quando si tratta di senso di colpa: il tuo vissuto di colpa è attuale, non ha prospettiva temporale.
Anche se hai commesso un evento tragico nel passato questo continua a essere costantemente presente nella tua vita di oggi, a tal punto da influenzarla.
Questo lo spiegava bene il prof. Bruno Callieri in un articolo compreso nel libro La cura dell’infelicità. Oltre il mito biologico della depressione.
Il vissuto di colpevolezza può emergere improvvisamente.
Anche le piccole azioni colpevoli sono vissute come attuali, si presentano oggi.
Il tempo lineare all’interno del vissuto del senso di colpa non esiste.
Ma come dice bene Marco Battacchi:
«Non basta giudicarsi colpevoli per sentirsi in colpa;
occorre anche disprezzarsi per quello che si è fatto,
essere in ansia per l’altro e/o per se stessi, soffrire per la sofferenza dell’altro.» (Colpa e vergogna. In psicologia e nella letteratura).
A qualche livello, per sentirsi in colpa bisogna pure provare un senso di disprezzo verso se stessi per quello che si è fatto, per quello che si desidera.
Il senso di colpa è lo scarto tra quello che si dovrebbe fare e quello che si fa.
Il senso di colpa genera anche il desidero compulsivo di piacere a tutti, perché rende insopportabile l’idea che qualcuno possa pensare male di noi.
Lucio Della Seta Tweet
Lucio Della Seta, analista junghiano di Roma, afferma che il senso di colpa è senza oggetto.
Che cosa significa?
Significa che il senso di colpa che avverti, non nasce da un tuo comportamento particolarmente negativo, ma nasce dalla necessità dell’altro di farti sentire inadeguato.
Provo a spiegare un po’ meglio.
In questi casi, quando un bambino si comporta male, il genitore non si limita a riprendere il suo comportamento e a giudicare come negativo quel preciso comportamento.
Il genitore lo accusa di essere lui stesso sbagliato. Di essere totalmente inadeguato e inadatto!
Non è il comportamento ad essere negativo è lui stesso ad essere incapace.
Così, quello che viene emotivamente comunicato è che il desiderio sotteso a quel particolare comportamento negativo non deve esistere.
Allora, se un certo desiderio, giusto o sbagliato che sia non deve esistere, una parte della tua personalità non ha diritto di esistenza!
C’è qualcosa di inadeguato nella tua personalità se avverti certi desideri.
In questo senso, la colpa innesca un movimento particolare non soltanto con la vergogna, ma anche con l’aggressività e con la manifestazione del tuo desiderio.
Tutto questo significa pure che il senso di colpa che avverti anche soltanto immaginando di comportarti in un certo modo trasgressivo è un modo fulminante per evitare la paura di agire secondo il tuo sentito.
Basta sentirsi in colpa, e passa la paura
Davide Lopez e Loretta Zorzi Tweet
In altre parole, potremmo dire che il senso di colpa ha un rapporto molto stretto con il senso del limite.
Un senso del limite però, molto particolare: un limite che costantemente interpreta i bisogni della stabilità collettiva.
Il senso di colpa sarebbe allora, per certi versi il meccanismo evolutivo che si è generato per segnalare al singolo che sta mettendo a rischio, con il suo comportamento o con il suo desiderio, la stabilità del sistema simbolico di relazione tra i membri di una collettività.
Detta in altri termini: il senso di colpa sarebbe la risposta intima, viscerale, che ti segnala il rischio che stai aderendo ad un tuo desiderio interiore che si muove contro i dettami della collettività.
Qual è allora, il limite? Fin dove è giusto o possibile spingersi per affermare il proprio desiderio?
Ci si potrebbe chiedere, per correggere un po’ il tiro e mettere a fuoco un pochino meglio il problema:
Tutto quello che riguarda il senso di colpa è una spinta ad ammansire l’uomo?
È un tentativo culturale e collettivo per addomesticare l’uomo e farlo rientrare dentro un limite ben definito e tracciato?
In parte si potrebbe rispondere proprio di sì.
La capacità di piegare questo incessante flusso all’omologazione sociale, questa pressione collettiva ad uniformarti ai modelli comportamentali condivisi trasmessi tra generazioni, diventa sempre di più una sfida faticosa.
Sia chiaro comunque — è bene dirlo — che i sistemi collettivi condivisi, le aspettative sul tuo comportamento da parte della cultura dominante, non sono in sé portatori di negatività.
Il piano collettivo non è necessariamente da intendersi come portatore solo di intenzioni omologanti insensibile ai desideri dell’uomo.
Sarebbe troppo povera come visione questa.
È bene dire pure che le tendenze omologanti della cultura collettiva hanno una loro utilità, una loro funzionalità.
Di fatto servono per equipaggiare l’uomo di tutta una serie di modi del comportamento sperimentati nel corso della storia dell’umanità e trasmessi per garantire un indice di accettabile convivenza e reciproca condivisione e che sono serviti letteralmente per costruire la società.
Tutta una serie di codici simbolici del comportamento che pure sono stati e sono tutt’oggi un’enorme patrimonio di civiltà.
Quello che accade soprattutto oggi è la condivisione dell’immagine di un futuro che sembra essere dipinto costantemente come catastrofico e mostruoso, per cui bisogna correre ai ripari.
Ci rifugiamo così, nel tentativo di un controllo razionale delle cose, della vita, in maniera quasi maniacale:
assicurazioni sulla vita, polizze di garanzia, pensioni integrative, diagnosi precoci, protocolli di prevenzione, ecc. come ad interpretare un futuro — e dunque un mondo —, sempre più minaccioso, oscuro e terrificante.
L’unica via di uscita che sembra essere proposta dalla coscienza collettiva è l’anticipazione, la pre-visione, la prevenzione: fare tutto il prima possibile per essere preparati ad affrontare le sciagure!
Occuparsi il prima possibile del futuro per avere l’illusione di controllarne gli esiti, per godere provvisoriamente di uno stato di quiete, simile al paradiso terrestre, una bolla protettiva che soprattutto separi, protegga e allontani il più possibile la possibilità di essere contagiati da qualcosa di imprevedibile.
Tutto ciò che è imprevedibile, irrazionale, diventa minaccioso.
E questo non riguarda esclusivamente lo stato esterno delle cose: la politica, i flussi migratori, l’economia globale, ecc.
Riguarda soprattutto come interpretiamo le cose del mondo.
Che cosa succede se sopraggiunge davvero un imprevisto?
Un imprevisto che non necessariamente deve essere inteso come qualcosa di catastrofico, come un terremoto o uno tzunami.
Un imprevisto può essere pure semplicemente uno stato d’animo nuovo.
Cominciare a sentire, a 40 anni, che tutto quello che hai sempre fatto con gioia e soddisfazione, comincia a non avere più lo stesso sapore, lo stesso coinvolgimento.
Un imprevisto può voler dire fare i conti con il bisogno di cambiare qualcosa della tua vita, qualcosa anche di radicale, per continuare a vivere.
Cambiare qualcosa che ti esporrebbe al rischio di perdere soprattutto quelle certezze su di te che hai accumulato sino ad oggi.
Il rischio è quello di cambiare volto.
Quello che sino ad oggi andava bene, non creava tensioni, non comportava complicazioni di alcun genere, ad un certo punto comincia ad essere insufficiente.
La vita condotta sino ad oggi perde del suo senso, della sua intensità.
Il senso di colpa allora, nasce proprio da qui: dal sentire che qualcosa intimamente chiede qualcosa di diverso, un nuovo modo di assegnare valore alle cose della vita.
E forse allora, il senso di colpa paradossalmente serve proprio a questo:
a spingerti ad assegnare un volto nuovo ai valori e all’atteggiamento che hai avuto sino ad oggi verso le cose della vita.
Proviamo a vedere allora, come è possibile superare il senso di colpa.
L'essere umano è l'essere che è capace di diventare colpevole e che è capace di rischiarare la propria colpa.
Martin Buber Tweet
Il senso di colpa ha due funzioni principali:
Aderire alla possibilità che la propria personalità si possa affermare, significa pure fare i conti con sfumature aggressive e distruttive del tuo mondo interno.
Per questo, sviluppare la propria personalità significa differenziarsi dalla collettività e per fare questo ci vuole una buona dose di forza e aggressività.
Significa adattarsi al proprio modo esclusivo di stare al mondo. Un modo, ovviamente, del tutto particolare e irripetibile.
Questo genere di operazione, inevitabilmente, sbatte contro la spinta collettiva all’omologazione.
La spinta all’omologazione collettiva della massa, chiede a ciascuno di noi di conformarci.
Non ci sono mezze misure: bisogna essere conformi ad un preciso modello che rappresenta l’unico mondo possibile di esistenza.
Il conformismo per questo è inteso da Umberto Galimberti, nel suo libro I vizi capitali e i nuovi vizi, come uno dei nuovi vizi legati alla contemporaneità.
Per cui, chi non si adegua alla massa, chi sceglie di sviluppare la propria personalità, la conoscenza di sé stesso quale unicità irripetibile, compie un atto di trasgressione radicale.
Questa operazione — che in antichità era la giusta misura dell’umana natura (il «Conosci te stesso» dell’Oracolo di Delfi) — oggi viene ostacolato con ogni mezzo.
La collettività — lo diceva anche Jung — esige imitazione o identificazione cosciente:
si devono percorrere strade già definite.
Andare a scuola, studiare, laurearsi, trovare un lavoro stabile, comprare una casa, sposarsi, metter su famiglia, ecc.: ti suonano familiari come inviti impliciti ad agire in un certo modo?
Diversamente, la spinta a sviluppare la propria personalità, la volontà di correre il rischio di dirigersi altrove rispetto alla massa, richiede coraggio.
Richiede lo sforzo di andare contro corrente.
Richiede il rischio faticoso di compiere delle scelte del tutto svincolate dall’orientamento collettivo e di scegliere adeguandosi al proprio mondo interiore.
Questo, guarda bene, non vuol dire necessariamente fare scelte bizzarre o incredibili.
Aderire al tuo sentito interiore, sviluppare la tua personalità, può significare, nel tuo caso specifico, anche aderire ad un progetto simile a quello che viene suggerito dall’omologazione collettiva.
La differenza fondamentale tra l’una e l’altra cosa sta nella tua consapevolezza che quello che stai scegliendo è frutto dell’una o dell’altra cosa.
Questa consapevolezza da sola è sufficiente ad assegnare un significato sostanzialmente diverso alle scelte che compi tutti i giorni.
Questo processo di adattamento al proprio mondo interiore Jung lo chiama processo di individuazione.
Individuarsi e compiere la scelta di dedicare la propria vita ad affermare concretamente la propria personalità, il proprio esclusivo modo di stare al mondo, significa riscattarsi dalla propria colpa:
la colpa di allontanarsi o essersi allontanati dalla collettività.
Per questo motivo, in uno scritto intitolato Dopo la catastrofe, Jung affermerà che senza la colpa non è possibile alcuna maturazione psichica.
Ciò che pretende la collettività è proprio il contrario di ciò che chiede l’individuazione.
E qui dunque, nasce una importantissima considerazione:
Questo è il compito fondamentale di ogni processo di individuazione:
generare nuovi valori.
Valori che, una volta prodotti, devono essere riconoscibili e condivisibili dagli altri per essere accolti come qualcosa di valido e significativo.
Sviluppare la tua personalità aderento pienamente ai tuoi valori intimi ha letteralmente un costo: il costo di sopportare il peso dell’affermazione di sé producendo nuovi valori per la collettività.
Se non avviene questo momento di accettazione da parte della coscienza collettiva dei nuovi valori di cui sei portatore con lo sviluppo della tua personalità ti sentirani sempre un emarginato.
Il senso di colpa è l'espressione del conflitto di ambivalenza e dell'eterna lotta tra l'istinto di vita e quello di morte.
León Grinberg Tweet
Durante una seduta con Melissa, una mia paziente che da tempo, nonostante gli sforzi che compie, non riesce a realizzarsi professionalmente come meriterebbe, esprime in maniera decisa — forse per la prima volta — tutta la rabbia per ciò che le sta succedendo.
Ma io che cosa ho fatto di male, dottore? – si chiede Melissa.
Che cosa cazzo ho fatto di male per meritarmi tutto questo dolore?
Mi sento male! Ogni volta che provo ad alzare la testa, ogni volta che sento che sarà la volta buona, niente; mi viene quasi da vomitare.
Lo stomaco mi divora dall’interno.
Vedo davanti ai miei occhi, il volto di mia madre sempre depressa e triste;
senza motivo apparente. Le cose non sono mai andate così male davvero.
Non lo so. Magari ero io? Boh!
Io però mi sento male. Mi sento in colpa. Io non voglio tutto questo, non voglio sentirmi in questo modo. Che cosa sto facendo di male. Non ho chiesto niente!
Non chiedo niente a nessuno. Non voglio dipendere da nessuno, eppure sembra sempre che io debba rendere conto delle mie scelte a tutti.
Come se fosse sempre tutto sbagliato.
Ma che cazzo c’è che non va in me?
Non potevo avere una vita come tutte le altre ragazze del liceo?
Hanno fatto quello che dovevano fare: un marito, dei figli, una casa, un lavoro normale, le vacanze al mare d’estate.
Io no. Dovevo sempre fare le cose a modo mio. Come piacevano a me. Mi sentivo diversa, e mi piaceva.
Adesso che cosa mi è rimasto?
Mi sento sola. Questa è la verità. Nessuno sembra preoccuparsi per me. Se sto bene, se sto male non gliene frega niente a nessuno!
— Mentre ascolto Melissa avverto un dolore intenso, muscolare, alla base dello stomaco che quasi mi soffoca. Non c’è molto che possa dire — penso tra me
— Questa è la disperazione di Melissa. La sua disperata solitudine di aver seguito le sue scelte. Le sue intuizioni per una vita più piena.
Allo stesso tempo, penso pure che questa è forse una delle prime volte che Melissa riesce ad affermare il suo sentito di dolore e di rabbia.
Un dolore che, sommerso dal senso di colpa, non aveva mai potuto trovare un punto di comprensione e di consapevolezza.
Il senso di colpa, ricordandoci quello che non possiamo fare, ci mostra quello che possiamo volere; ci mostra il nostro senso morale, la differenza fra quello che vogliamo e quello che vogliamo volere.
Senza la possibilità di una doppia vita non c'è morale.Adam Phillips Tweet
Comprendere lo stato interiore di Melissa, il suo senso di colpa per ciò che desidera affermare di sé e quanto gli viene puntualmente restituito dalla realtà ha esattamente a che fare con la qualità delle sue relazioni.
Il senso di colpa, per certi versi allora, segnala in maniera sana proprio il fatto che all’interno di quella relazione qualcosa non sta funzionando bene.
È un tentativo di comunicare la sofferenza che si annida dentro quella particolare relazione, con la precisa consapevolezza che è stato proprio il modo di stare in quella relazione che ha causato la tua sofferenza.
Il senso di colpa autentico è un dolore sano, perché sana la relazione.
Questo lo spiega bene Gianni Francesetti, in un articolo compreso nel libro Colpa e sensi di colpa di Martin Buber.
Pensare che il senso di colpa sia un tentativo di sanare quella relazione specifica è forse uno degli elementi più importanti per superare il senso di colpa.
Se avverti un sentito di colpa che inevitabilmente coinvolge una particolare persona, e la particolare relazione che hai con quella persona, il senso di colpa è il segnale che quella relazione per continuare a funzionare ha bisogno di un cambiamento.
Se volessimo provare allora a rispondere alla domanda:
come si supera il senso di colpa?
Potremmo dire che il senso di colpa si supera sanando la relazione con la persona con cui sei in relazione .
Non si tratta essenzialmente di fare pace concretamente con la persona verso la quale senti di avere un debito, quanto di sanare intimamente il modo in cui sei in relazione con quella persona, con ciò che quella persona rappresenta per te.
Che cosa significa?
Significa considerare che il senso di colpa che senti è sempre un vissuto che si esprime in relazione a qualcuno, all’interno dunque di una particolare relazione.
All’interno di una relazione di colpa, l’altra persona, nella misura in cui è in grado di suscitare in te quel particolare vissuto di colpa, rappresenterà pure l’esigenza di una parte della tua personalità che vuole affermarsi.
In questo senso allora, è pensabile superare il senso di colpa solo attraverso un vero e proprio atto di cura con te stesso.
Un atto di cura che implica la possibilità di dare ascolto ed esistenza concreta a tutte quelle emozioni che trasgrediscono le abituali aspettative di ogni relazione significativa, ma che, inevitabilmente, si portano dietro il rischio di ridefinire integralmente ogni relazione.
Questa è il modo attraverso cui è possibile andare oltre la colpa e sviluppare la propria personalità.
Questo è il mio lavoro, questo è il mio impegno!
Un saluto, a presto.
Michele Accettella
Sono psicoterapeuta abilitato all’esercizio permanente dall’Ordine degli Psicologi del Lazio.
In oltre 15 anni ho accumulato più di 15.000 ore di lavoro in ambito clinico, come psicologo e come psicoterapeuta.
Per diventare analista junghiano, per oltre 5 anni, sono stato anch’io in terapia, poiché per conoscere l’altro è necessaria una conoscenza approfondita di sé.
L’attenzione al lavoro clinico, ancora oggi, viene periodicamente rinnovata negli incontri riservati di supervisione che svolgo presso il “CIPA – Centro Italiano di Psicologia Analitica“: un’associazione che da oltre 50 anni cura la formazione degli psicoterapeuti junghiani in Italia, di cui sono “Membro del Comitato Direttivo Nazionale”.
Sono Psicologo Analista abilitato alla docenza, alle analisi di formazione e alle supervisioni presso la “Scuola di Specializzazione in Psicoterapia” del CIPA riconosciuta dal MUR.
Dal 2021 al 2025 sono eletto Segretario scientifico e Direttore della Scuola di psicoterapia dell’Istituto di Roma del CIPA.
Dal 2019 sono stato iscritto nell’Albo dei docenti esterni di 1° Livello – Area C di Roma Capitale.
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