Se hai paura è perché non stai vivendo la vita, ma stai vivendo nella tua mente
Sadhguru Tweet
Questo è un brano tratto dal libro di Simona Vinci dal titolo Parla, mia paura.
In questo passaggio emerge in maniera puntuale che cosa significa vivere la radicalità della paura.
La tensione costante, il sospetto, l’indecisione, la reattività a fior di pelle, sempre, costantemente.
La paura non è un’esperienza semplice o un modo di sentire e basta.
La paura è un vero e proprio sistema: un insieme di componenti, strumenti e modalità che servono all’uomo per relazionarsi con il mondo intorno nel tentativo di comprenderlo.
Questa è la chiave fondamentale per dare alla paura una lettura di senso:
la paura è uno strumento di cui l’uomo dispone per comprendere il mondo dentro di sé e il mondo intorno a sé!
Dalla sua originaria funzione di sistema deputato a prevedere e evitare il dolore fisico, nel corso dell’evoluzione dell’umanità è diventato qualcosa di molto più complesso e raffinato.
Oggi sappiamo che la paura della sofferenza psichica produce gli stessi sintomi corporei di quella del dolore fisico (Maria Rita Ciceri).
Terrore, timore, ansia, panico, apprensione, preoccupazione, inquietudine, allarme, trepidazione, spavento, orrore, fobia:
il sottofondo di tutti queste diverse e complesse sfumature emotive dell’animo umano hanno a che fare con la paura, ma quello che stanno ad indicare spesso ha a che fare con esperienze completamente diverse.
Ti suggerisco, per esempio, se vuoi approfondire meglio il tema dell’Ansia e del Panico di leggere l’articolo che ho dedicato proprio a questo argomento. Se vuoi dargli un’occhiata, clicca qui!
Per ritornare al nostro discorso, possiamo dire che la paura non è solo un meccanismo innato, istintivo e automatico per farci reagire prontamente ad uno stimolo minaccioso o a un pericolo imminente.
La paura è qualcosa di molto più complesso e si articola su piani diversi, sfumature diverse e soprattutto con esiti e agiti completamente diversi tra loro.
È sempre la paura che incontro nel mio lavoro clinico. Nelle sue forme diverse la paura è sempre presente.
Paura di morire, paura di invecchiare, paura di rimanere soli, paura di essere abbandonati, paura di deludere, paura di non essere all’altezza, di non valere granché; paura di gioire, paura di amare, paura di perdere il controllo, paura di impazzire, paura di vivere.
La paura si placa con l’azione, con lo stare quanto più possibile collegati al mondo che abitiamo.
Avere a che fare con la concretezza del fare quotidiano, impegnati quanto più possibile con quei gesti che siamo in grado di riconoscere come dotati per noi di senso e significato per la nostra vita.
La paura é dell’uomo la sua più particolare espressione.
Cercando di esplorare un po’ più da vicino con che cosa abbiamo a che fare, in questo articolo cercherò di spiegati un po’ di più che cosa significa vivere uno stato di paura e come è possibile coglierne la natura e il significato trasformativo.
Vediamo un po’ meglio di che cosa si tratta.
Sono Michele Accettella, psicologo, psicoterapeuta, analista junghiano a Roma. Da oltre 14 anni aiuto le persone a migliorare la qualità delle loro vite attraverso la crescita della personalità. Il mio lavoro consiste nel creare le migliori condizioni possibili — all’interno della relazione terapeutica — affinché possano svilupparsi al meglio i vari aspetti della tua personalità e conquistare con questo una maggiore soddisfazione di vita.
La paura saliva al cervello, s’impadroniva del corpo, arrivava al suo culmine, poi iniziava a decrescere e defluire. Ogni volta, spossata, mi rendevo conto che ero ancora viva. Potevo sopravvivere alla paura semplicemente rinunciando a controllarla.
Simona Vinci Tweet
Esistono in noi 2 paure fondamentali:
Benché sia facile immagine di che cosa si nutra la nostra paura di morire, un po’ più complesso e articolato è definire esattamente che cosa significhi avere paura di vivere.
La PAURA è il nome che diamo alla nostra incertezza: alla nostra ignoranza di che cosa ci minaccia — diceva Zygmunt Bauman.
La paura deriva da un’incertezza precisa che c’è tra quello che possiamo fare e quello che non possiamo fare.
Per gestire, affrontare, eliminare o superare una minaccia, in mezzo a quello che possiamo o non possiamo fare, esiste la paura.
La paura inevitabilemente ha direttamente a che fare con il controllo.
Il controllo dei nostri pensieri, delle nostre fantasie e con esse delle nostre reazioni.
La paura e il controllo sono direttamente collegate alla conoscenza che abbiamo di noi stessi e dei nostri meccanismi di risposta ad una particolare condizione avvertita come pericolosa.
La cosa che suscita più spavento è l'ubiquità delle paure; esso possono venir fuori da qualsiasi angolo o fessura della nostra casa o del nostro pianeta. Dal buio delle strade o dalla nostra camera da letto. Dal posto di lavoro o dalla metropolitana. Da coloro che conosciamo o da qualcuno di cui non ci eravamo nemmeno accorti.
Zygmunt Bauman Tweet
Ma che cos’è allora, la paura?
Per cominciare un po’ a definire il raggio d’azione del nostro discorso possiamo intanto dire che la paura è un’emozione primaria di difesa.
Si tratta di un’emozione specifica che identifica un particolare modo di rispondere a una condizione di pericolo che può essere reale, anticipata attraverso una previsione, evocata da un ricordo, oppure prodotta dall’attività fantastica.
Questa è la definizione generale che ne dà il prof. Umberto Galimberti nel suo Nuovo Dizionario di psicologia. Psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze.
Per provare ad essere un po’ più precisi possiamo considerare utile quello che Jung dice rispetto alla questione della paura, ossia, il fatto che la dimensione della paura ha a che fare con oggetti o situzioni che sono stati svalutati o non ancora sufficientemente valutati dal soggetto.
Che cosa significa questa cosa?
Beh, significa una cosa piuttosto particolare:
la paura è il frutto della relazione con qualcosa che non abbiamo ancora valutato oppure con qualcosa che ci rifiutiamo di prendere in cosiderazione.
La paura è la forma della relazione con qualsiasi oggetto che consideriamo diverso.
È la paura ad entrare in relazione con un’altra parte psichica di noi stessi che non conosciamo o che ci rifiutiamo di riconoscere.
Dobbiamo fare qualcosa.
Le paure ci spingono a fare qualcosa.
Questa spinta non fa altro che amplificare ancor di più il potere che le paure stesse hanno sulla nostra vita.
Per l’uomo, non si tratta solo di tentare la fuga o aggredire la potenziale minaccia percepita, si tratta anche di correre il rischio di diventare sensibili alla paura, mettendo in atto automaticamente tutta una serie di reazioni istantanee dettate dall’insicurezza e dalla vulnerabilità.
Possiamo diventare ipersensibili alla paura quando abbiamo avuto diverse esperienze di spavento che, per intensità e ripetitività, si sono consolidate nel nostro modo di vivere.
Questo è quello che afferma Maria Rita Ciceri, docente di psicologia generale alla Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nel suo libro dedicato a La paura. Le molte strategie di un meccanismo di difesa istintivo.
La paura — secondo la Ciceri — sarebbe un vero e proprio sistema difensivo che media la nostra azione sul mondo rendendola più sicura ed efficace.
Lo spavento, l’angoscia avvertita di fronte ad una certa esperienza ci restituisce il grado di novità e dell’attenzione che dobbiamo assumere per stare dinanzi a quell’esperienza.
Per questo motivo la paura di norma si evolve in funzione dell’età: ciò che ci spaventa da piccoli non produce lo stesso effetto su di noi da grandi.
Si tratta di apprendere dalle nostre esperienze e avere a disposizione un insieme di memorie che nel processo di comprensione del mondo, possiamo utilizzare per decodificare il mondo riconoscendone prontamente le forme.
Le paure — piccole o grandi che siano — e le risorse che attiviamo per affrontarle — adeguatamente o meno che siano — in qualche modo «ci presentano a noi stessi», ci dicono «quanto abbiamo in tasca» per far fronte alla vita, in un conto molto concreto tra noi e la realtà che dobbiamo quodidianamente affrontare.
Maria Rita Ciceri Tweet
La Ciceri ad un certo punto si pone una domanda secondo me fondamentale:
Più che porsi la questione di come fare per controllare la paura, siamo sicuri che la paura non sia essa stessa una forma di controllo?
Che cosa significa?
L’idea che propone la Ciceri è quella di considerare l’emozione della paura come un vero e proprio strumento al nostro servizio che ci consente di esplorare e valutare, anche attraverso la memoria, il nostro mondo circostante.
La paura è il nostro specifico modo di rispondere ad una minaccia, ad un pericolo: non è essa stessa un aggressore esterno contro cui combattare, ma si può considerare come un vero e proprio regolatore interno.
Per questo non è tanto sensato immaginare di eliminare la paura.
Sarà invece utile conoscere come funziona il nostro sistema della paura per capirne meglio le modalità di attivazione, i meccanismi di azione e il senso.
Tutto questo per poterne gestire meglio e in maniera flessibile le proprietà di regolazione e fare in modo che la paura sia rivolta al nostro benessere e non il contrario.
Il neuroscienziato Jaak Panksepp & Lucy Biven, nel loro lavoro dedicato alle origini neuroevolutive delle emozioni umane dal titolo Archeologia della mente, hanno definito il sistema della PAURA come uno dei sistemi cerebrali fondamentali.
Quello che gli autori ci dicono è che la capacità di avere paura è sicuramente innata e che la paura è sempre accompaganta da un’attivazione del sistema nervoso autonomo.
Sarebbe un sistema formatosi attraverso l’evoluzione e non determinato dall’esperienza.
Questo particolare sistema cerebrale coinvolge l’amigdala, l’ipotalamo e delle aree profonde del cervello (mesencefalo).
Una cosa sembra essere molto interessante che emerge dagli studi di Panksepp e Biven rispetto al sistema della paura e ha a che fare con il rapporto tra la paura e il dolore:
il dolore attiva sempre una reazione del sistema della paura.
La paura invece, no!
La paura in certi casi può addirittura diminuire le tue sensazioni di dolore.
Questo è molto importante da considerare perché la paura non sempre la si riconosce immediatamente.
Soprattutto nei casi in cui la paura serve a camuffare un dolore molto più arcaico, qualcosa di molto più sottile.
In certi casi puoi avere a che fare consapevolemente con la paura solo di notte, quando dormi male, quando fai degli incubi che ti tolgono il sonno. Quando soltanto il risveglio ti consente di tornare a respirare.
La paura restituisce costantemente all’uomo la sua fragilità. La sua insicurezza fondamentale.
La paura indiduale è un’emozione-choc.
Questo è quanto afferma Jean Delumeau, storico e saggista francesce, che nel suo libro La paura in Occidente. Storia della paura nell’età moderna ha così definito questa emozione.
La paura — afferma Delumeau — è spesso preceduta dalla sorpresa, provacata dalla presa di coscienza d’un pericolo presente e imminente che avvertiamo come atto a minacciare la nostra incolumità.
Le reazioni possono essere diverse a seconda dell’individuo:
La paura è tuttavia ambigua. Inerendo alla nostra natura, essa costituisce un bastione essenziale, una garanzia contro i pericoli, un riflesso indispensabile che permette all'organismo di sfuggire provvisoriamente alla morte.
Senza la paura nessuna specie avrebbe potuto sopravvivere.Jean Delumeau Tweet
Chiunque è in preda alla paura rischia di disgregarsi, la sua personalità si incrina — dice ancora Delumeau — l’essere diventa separato, altro, estraneo.
Il tempo si arresta, lo spazio si restringe.
Questa condizione provoca tutta una serie di reazioni comportamentali che mirano a evitare certe situazioni ritenute essere minacciose con la conseguente possibilità di ritrovarsi a vivere un’esistenza piuttosto limitata.
Tutto questo si accompagna al fatto che quando la paura diventa parte del modo di entrare in relazione con il mondo si stabilisce un processo di amplificazione della propria attenzione.
Come ha sottolineato Anna Oliverio Ferraris, professoressa di Psicologia dello sviluppo presso l’Università “La Sapienza” di Roma nel suo libro dedicato alla Psicologia della paura, una persona che ha paura ha un particolare modo di intendere la realtà intorno a sé.
Esiste una vera e propria amplificazione percettiva di tutti i segnali che provengono dall’esterno (o dall’interno) a tal punto da trasformare la realtà oggettiva, che pure si riconosce, in qualcosa di altamente pericoloso sicuramente da evitare.
La persona spaventata tende a fissare la propria attenzione principalmente sulle situazioni e sugli aspetti ansiogeni della realtà, di cui ingigantisce la portata. La persona spaventata può quindi avere serie difficoltà non soltanto nel controllare le proprie reazioni, ma anche nel coordinare percettivamente e mentalmente tutti gli aspetti rilevanti di una data situazione e nel considerare, in un modo che sia produttivo e vantaggioso, le varie alternative possibili.
Anna Oliverio Ferraris Tweet
Questo effetto di amplificazione e di profondo stato di allarme e timore che di fatto si produce attraverso lo stato della paura genera pure uno stato di forte tensione interna.
Ha a che fare con un malessere diffuso che rende il tuo quodiano piuttosto sofferente nella misura in cui limita il tuo agire e soprattutto i tuoi desideri.
Quello che si produce è una tensione interiore molto forte tra ciò che desideri fare e ciò che il tuo corpo ti restituisce come allarme per i pericoli che stai correndo.
Attorcigliandoti in mezzo a questa difficile condizione le tue paure si mescolano pure ad un profondo senso di colpa per tutti quei desideri che pure spingono per una loro realizzazione possibile.
Tutto questo per dire che esiste un legame fondamentale tra la paura e il senso di colpa.
Se vuoi approfondire il discorso sulla colpa, puoi leggere un mio articolo sul tema dal titolo Come superare il senso di colpa, cliccando qui!
Tutto questo lo sottolineo perché è giusto considerare quanto la paura stessa ha da sempre stimolato la curiosità, la passione esplorativa e la stessa creatività.
In parte, la paura è stata da sempre uno stimolo per l’uomo per superare se stesso, i suoi limiti. Di fronte spesso ad un mondo che restiuiva puntualmente la visione di una impossibilità di andare oltre.
Una dimensione della cultura collettiva che sistematicamente, in ogni epoca storica, ha sempre restituito un timore generale di limitare il proprio campo di azione, i propri desideri di scoperta e curiosità.
E questo, così come accade oggi, mettendo in atto un flusso incessante di paure e terrori generali che in maniera sensazionale dipingono un mondo fatto di pericoli e “mostri” nascosi oltre i confini conosciuti.
La verità è che spesso le cose stanno molto diversamente da come ci vengono raccontate e, con un po’ di attenzione è possibile cogliere, soprattutto oggi, qual è lo stato del mondo contemporaneo intorno a noi.
Il risultato è che le cose stanno molto meglio di quanto siamo abituati a immaginare.
Vediamo un po’ meglio da vicino con che mondo oggi abbiamo a che fare e perché sistematicamente cadiamo nella trappola di credere che il mondo là fuori è un posto pericoloso anche quando non è così.
La Factfulness è la visione del mondo basata sui fatti. Iniziate a praticarla, e riuscirete a sostituire la visione iperdrammatica del mondo con una concezione basata sui fatti. Interpreterete la realtà senza impararla a memoria. Prenderete decisioni migliori, riconoscerete pericoli e possibilità concreti, ed eviterete di stressarvi costantemente per le ragioni sbagliate.
Hans Rosling Tweet
Hans Rosling è stato un medico, statistico e accademico svedese, membro dell’Accademia di Svezia e del Larolinska Institutet.
Nel suo fondamentale libro Facfulness. Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo e perché le cose vanno meglio di come pensiamo, Rosling annovera l’istinto della paura tra i 10 istinti che ci fanno interpretare in maniera erronea le cose del mondo.
Si tratterebbe — secondo l’autore — di una particolare capacità dell’essere umano di orientare la propria lettura del mondo intorno a sé attraverso un particolare apprendimento.
L’autore, nelle sue varie conferenze che ha tenuto in diverse parti del mondo, è stato catturato dalla capacità delle persone di rispondere ad un questionario che chiedeva alcune domande su come, secondo i partecipanti, stavano andando le cose nel mondo contemporaneo.
Quante persone secondo te hanno accesso all’elettricità nel mondo?
Qual è secondo te l’aspettativa di vita a livello mondiale?
Nei Paesi a basso reddito di tutto il mondo, quante bambine finiscono la scuola primaria?
ecc. ecc.
A domande come queste le persone intervistate da Rosling restituivano in maniera sistematica un risultato piuttosto curioso:
la stragrante maggioranze delle persone rispondeva correttamente al questionario con risposte multiple, con una media di poco meno di 4 domande su 13.
Uno scimpanzé sottoposto allo stesso questionario, tirando a caso, raggiunge un risultato maggiore!
Che cosa significa tutto questo?
Significa una cosa molto semplice:
non si tratta di mancanza di conoscenze poiché si avrebbero avute risposte casualmente sbagliate, ma si tratta di una conoscenza attivamente sbagliata!!!
Quando si tratta di leggere le cose del mondo intorno a noi, siamo portati a rispondere inconsapevolmente in maniera errata, mediante un preciso processo “intenzionale” di apprendimento.
Ossia, siamo portati a decifrare le cose della realtà intorno al noi volontariamente in maniera più negativa di quanto siano nella realtà.
Questo la dice lunga sul mondo attraverso il quale poi ci impegniamo ad affrontare le cose della vita e le relative scelte che compiamo.
La visione del mondo che ne viene fuori è una visione ferma a un tempo di diversi decenni fa.
Una visione che è sistematicamente iperdrammatica!
A questa visione così distorta della realtà delle cose, senza un ancoraggio diretto ai fatti reali, contribuisce anche l’istinto della paura.
Un particolare istinto che Rosling ha indagato nelle sue interviste.
Quello che emerge è che se si domanda alle persone di che cosa abbiano più paura, sono 4 le risposte ricorrenti:
Stando ai dati il mondo oggi è meno violento e più sicuro di un tempo. Per esempio:
Nonostante questi dati l’immagine che ci viene costantemente offerta dai vari canali d’informazione generale è che oggi viviamo in mondo verso il quale bisogna avere paura.
A tal punto da convincerci che le cose stanno davvero così.
Sullo stesso sito di Gapminder inoltre, puoi esplorare da vicino tutta una serie di dati statistici riguardo l’andamento di temi fondamentali nel mondo in un’ottica razionale e ponderata.
Troverai diversi tools utili che ti daranno la misura di com’è la realtà di oggi (vai al sito: www.gapminder.org).
La paura della violenza può avere una valenza distruttiva quanto la violenza vera e propria e, una volta scatenata, può essere difficile da placare.
William Davies Tweet
William Davies, professore di sociologia ed economica politica al Goldsmiths College University of London, autore del recente libro Stati nervosi. Come l’emotività ha conquistato il mondo, ha sottolineato in maniera importante quali effetti produce l’azione emotiva — soprattutto la violenza e la paura — sul tipo di comportamento che le masse hanno difronte ad una particolare situazione.
Da un certo punto di vista — sostiene Davies — è più probabile che la paura inneschi dei circoli viziosi e delle reazioni impulsive e di conseguenza accresca la percezione del pericolo.
Una cosa importante sottolinea Davies nel suo libro analizzando i fatti della recente attualità:
il fatto che non sempre le statistiche generalistiche – come quelle citate sopra da Hans Rosling — riescono a mettere bene a fuoco che cosa accade a livello più particolare.
Mi spiego meglio.
Le statische che tengono in considerazione le medie di tutto il mondo in funzione di un particolare fenomeno è vero che restituiscono la misura del reale andamento medio delle cose.
Allo stesso tempo però, così facendo si rischia di non cogliere il disagio che pure esiste a livello locale, a livello di un particolare universo che si disperde invece nel grande calderone di una misura mondiale.
Tutto questo serve per dire che nonostante le cose a livello mondiale procedano verso un tendenziale aumento del benessere sotto tanti punti di vista, alla stessa maniera non si può dire che questa cosa sia trasversale e uguale per tutti.
Esistono ed esisteranno sempre dei luoghi, dei contesti locali o delle particolari situazioni dove le cose non vanno affatto bene e che quindi è giusto considerare che esistono piani differenti che vanno considerati per avere una visione critica e aderente alla realtà con diversi gradi di complessità.
Questo serve anche a dire che quello che vale per il singolo quasi mai corrisponde esattamente a quello che vale per il mondo e viceversa.
È necessaria una visione complessa, che guarda al globale e al particolare delle cose.
E ci vuole pure una consapevolezza che ciò che agisce a livello della singola persona, non ha alcun valore per la massa e quello che agisce a livello di massa non necessariamente corrisponde al vissuto della singola persona.
In queto senso per esempio è utile dire che in una recente indagine dell’Edelman Trust Barometer, la più importante indagine globale sul tema della fiducia realizzato annualmente dall’agenzia di comunicazione Edelman in 28 paesi del mondo su un campione di oltre 33.000 persone, ha evidenziato la profonda differenza che c’è tra la misura della fiducia tra popolazione cosiddetta informata e la massa generale.
Secondo quanto riportato dall’ultimo rapporto 2019 il tasso di fiducia che in Italia si ha rispetto al fatto che la propria condizione tra 5 anni sia migliore rispetto ad oggi è pari al 36% della popolazione generale.
Tale percentuale sale al 50% se si considera il pubblico informato.
Questa cosa sottolinea in maniera importante come il fatto essenziale di essere informati adegutamente sulle cose, conoscere il mondo e le sue complessità e diversificazioni, globali e individuali, modifica la percezione del nostro presente e soprattutto la fiducia che abbiamo verso il nostro futuro.
Su questa differenziazione, tra individuale e collettivo, si gioca pure quel senso di precarietà che investe l’uomo quando si trova ad affrontare le cose del mondo, il lavoro, la famiglia, i figli, la casa, ecc.: tutto sembra essere terribilmente fragile.
Zygmunt Bauman nel suo libro Paura liquida, la chiama sindrome del Titanic:
il terrore che possa spezzarsi da un momento all’altro il terrreno sotto di noi e che non resti più nulla a sorreggerci, lasciandoci precipitare in una specie di nulla qualora venissero a mancare irrimediabilmente le basi elementari della vita civile e organizzata.
Ed è in fondo proprio questa paura, così antica, così archetipica, di precipitare nel nulla che da una parte costringe l’uomo in questo stato di pericolo e, dall’altra, lo pone di fronte alla sua più fondamentale verità: quella di essere costantemente esposto a questo vuoto, a questa inconscietà.
Dentro questo vuoto si nasconde pure il senso profondo della paura, una paura che avvetiamo avere sempre a che fare con il male.
Vincolato com'è da condizioni "ambientali" non specifiche, che non solo non lo proteggono, ma lo sottopongono a gravi oneri e imprevisti, l'uomo può dirsi "aperto al mondo" in un senso molto particolare. Non è una "apertura" a qualcosa di concreto e di incoraggiante, ma è un'esposizione allo spazio infinito, al vuoto.
Danilo Zolo Tweet
A questo punto, se hai letto l’articolo fino a qui, avrai di certo capito che il fulcro centrale intorno al quale ruota tutto il discorso della paura ha a che fare con il tipo di relazione che hai di fronte a qualcosa di “altro” che sopraggiunge nel tuo campo vitale d’azione.
Indipendentemente da quanto sei poi equipaggiato a controllare, gestire o rispondere a quella determinata condizione, l’effetto di quell’incontro è sistematicamente legato al tuo modo di affrontare tipicamente le cose del mondo intorno a te.
La verità è che ciò di cui abbiamo paura è proprio quell’essere trasportati, attraverso quella relazione, in un universo imprevedibile dove perdiamo l’ancoraggio con le cose che conosciamo e che inevitabilmente, avvertiamo come minaccioso.
Per essere più precisi quello che davvero tentiamo a tutti i costi di evitare è proprio quello stato di vertigine in cui perdiamo il contatto con le cose che conosciamo bene, con quanto per noi è sensibilmente conosciuto.
Dentro a questo timore di ritrovarsi in una condizione in cui si perde l’equilibrio, si perde il contatto con quello che si conosce e ci si espone all’ignoto c’è un timore fondamentale che lega ciò che non conosciamo con ciò che è male.
Ciò che temiamo davvero è proprio il male.
E ciò che è male è per noi da temere!
Questo è il punto nodale che, nella relazione con l’altro, fa emergere la paura.
Verrebbe da dire che quello che ci fa realmente paura non è tanto l’incertezza, la minaccia, il pericolo in sé.
Quello che ci fa paura è l’idea che da ciò che non conosciamo possa arrivare qualcosa di maligno.
Spesso la paura è paralizzante proprio perché non siamo in grado di decifrare il contenuto di ciò che si sta avvicinando e l’ipotesi che il nostro sistema della paura fa è quella di considerare in non-conosciuto come qualcosa di cui non ci si può fidare immediatamente.
La paura ci serve come mediatore rispetto a ciò che non conosciamo.
Per fare questa operazione, in maniera intrinseca, dobbiamo considerare da un livello primordiale ogni cosa che non afferriamo immediatamente come qualcosa che possa farci del male.
Il male diventa allora, il fondamento della nostra paura.
Il male o il maligno che ci può colpire;
il male che ci può afferrare e far perdere di vista le cose buone che vogliamo;
il male che addirittura ci può attrarre e farci perdere il senno.
Intorno al male e alla necessità di stare lontani da ciò che è ritenuto maligno sono costruite tutte le nostre credenze, i nostri condizionamenti, gli schemi di comportamento, i giudizi, le valutazioni, i sensi di colpa, i modi di pensare, i modi di giudicare, gli stili di vita, i modelli da imitare o da evitare, ecc. ecc.
Il male dunque, è realmente male!
Ma che cosa ci fa male davvero?
Sono tutte scuse e sono quelli tutti strumenti che abbiamo in dotazione per evitare qualsiasi processo di cambiamento?
Oppure, ciò che ruota intorno al male serve pure per avanzare con cautela in mezzo alla vita?
Beh, credo proprio che in tema di paura, le due cose siano entrambe fondate.
In fondo, siamo tutti portati naturalmente a non voler sentire, non voler vedere, non voler sapere del dolore, del dolore, della sofferenza.
Mettiamo in atto tutta una serie di escamotage pur di evitare, rimaneggiare, nascondere la realtà delle cose.
Anche di fronte all’evidenza razionale che le cose non stanno andando come vorremmo, o stando andando davvero male, siamo capaci di giustificare ogni cosa, soprattutto la nostra sofferenza.
Un genere di cose verso cui sembrerebbe noi non possiamo fare nulla.
Bisogna sopportare! — dice il senso comune — Non si può avere tutto dalla vita.
Le cose non vanno sembre bene. Che cosa ci vuoi fare? La vita è così.
Sicuramente come esseri umani abbiamo dei limiti. Ed è giusto che sia così.
Ma l’idea del limite si porta anche dietro il desiderio del tutto umano di evadere da quei limiti e con esso la paura che questo comporta.
Tra paura e desiderio nasce una tensione intima che si materializza costantemente quando sentiamo di volere qualcosa ma allo stesso tempo temiamo per tutto quanto immaginiamo di pericoloso ci possa essere.
Ma allora, come si può affrontare questo rapporto tra desiderio e paura?
Proviamo a vedere che cosa significa superare la tensione tra paura e desiderio.
Dove c'è paura, lì sta il compito. Rifletta sulle fantasie e i sogni che le capita di avere per capire che cosa fare e da dove cominciare. Le nostre fantasie indugiano sempre su una mancanza, là dove c'è una carenza da compensare.
Carl Gustav Jung Tweet
Dai taccuni di Esther Harding, analista junghiana anglo-americana, abbiamo la possibilità di leggere che cosa le disse Carl Gustav Jung nel 1922 a proposito della paura.
«Lei deve avere paura del mondo — le dice Jung — perché il mondo è grande e forte;
e dei demoni dentro di lei, perché sono molti e brutali;
ma non deve avere paura di se stessa, perché quello è il suo vero Sé.»
La Harding confessa a Jung che aveva paura di aprire la porta ai suoi demoni per il timore che potessero riversarsi all’esterno e distruggere tutto.
«Se li tiene rinchiusi, — le risponde Jung — allora sicuramente saranno distruttivi.
L’unico modo per scoprire i confine del Sé è di fare esperimenti.
Si spinga fin dove arriva il suo desiderio, e scoprirà di essersi spinta fin dove lo permettono le sue proprie leggi.
Se le viene paura, abbia il coraggio di battere in ritirata.
Si trovi un buco in cui nascondersi, perché così agisce l’uomo coraggioso, e così facendo eserciterà il coraggio.
Ben presto la codardia avrà esaurito la sua spinta, e il coraggio prenderà il suo posto.» (Carl Gustav Jung, Jung parla. Interviste e incontri).
Che cosa signficano queste parole di Jung?
Jung sottolinea in questo passaggio 2 cose fondamentali secondo me che possono essere utili da considerare sul tema della paura:
Fare esperimenti? Ma che cosa significa esattamente?
Fare esperimenti significa agire qualcosa, seguire anche soltanto un’intuizione irrazionale per fare esperienza diretta di un qualcosa che non conosciamo direttamente e capire che tipo di risultato si ottiene.
In questo modo, possiamo essere in grado di fare esperienza di vari aspetti di noi stessi che abitualmente non siamo portati a verificare o a conoscere direttamente.
Questo vale soprattutto per quanto riguarda le nostre paure.
Per superare la paura, per limitare il campo di azione che una paura produce su di noi e la nostra vita, c’è un solo modo: agire!
Come ha scritto bene Simona Vinci, bisogna:
«Smetterla di re-agire e iniziare a agire. Trasformando i sogni in progetti.
Non muore nessuno. Nessuno si fa male.
Qualcuno non capirà, la realtà e il mondo intorno subiranno una trasformazione, ma questo non compromette nulla.
Ma accettando l’idea di morire, mi sfidai a vivere.»
Lasciarsi andare, fidarsi di un’intuizione, è forse uno dei compiti più rischiosi che ci possano essere.
Soprattutto quando il gesto di affidarsi è un gesto di fiducia verso una parte di se stessi che pure sentiamo di avere, ma che facciamo fatica a riconoscere non tanto per cattiva fede, quanto soprattutto perché si tratta di aspetti di noi stessi che letteralmente non conosciamo.
È per questo che non ci fidiamo!
Temiamo, laddove non siamo sicuri di sapere con che cosa abbiamo a che fare, che quel qualcosa sicuramente è portatore di un male ignoto.
Il paraddosso allora, viene da qui, che aggiunge ancora una certa dose di incertezza:
in quella paura c’è pure la cura!
Abbiamo paura che se infrangiamo la barriera artificiale, ci ritroveremo in uno spazio senza limiti. Invece, dentro ciascuno di noi, c'è il Sé che si autoregola.
Carl Gustav Jung Tweet
Non abbiamo la possibilità di controllare tutto. Abbiamo soltanto, costantemente, l’illusione di poter controllare tutte e cose.
Non sappiamo che cosa può accadere intorno a noi tra un secondo e, soprattutto, non siamo in grado di prevedere in che modo ci ritroveremo a reagire alle cose che ci accadranno tra breve.
Il trucco allora, starebbe proprio nella capacità o nel darsi l’occasione di costruirsi una particolare modalità di affrontare le cose, un particolare atteggiamento nei confronti delle cose della vita.
Questo atteggiamento è ben altra cosa.
Significa propriamente non reagire alle cose, non resistere e non attaccare nulla.
È sicuramente una modalità contro natura.
Nel senso che se automaticamente siamo portati a reagire alle cose, ad affrontarle o a fuggire di fronte ad esse per proteggerci e per evitare il dolore, questo atteggiamento che ti sto proponendo agisce proprio in senso contrario.
Non reagire, non fuggire, non aggredire.
Semmai: resisti, sopporta, patisci quel che c’è da patire, per il tempo necessario per trasformare le cose.
La tensione che si genera tra il desiderio di una cosa e la paura che questa cosa comporta è una tensione necessaria.
Una tensione emotiva che non va eliminata, non va ridotta, non va rimandata, ma va vissuta.
È un’operazione difficile da fare e, soprattutto, è difficile da immaginare che il semplice sopportare generi un qualcosa di nuovo.
La tua spinta automatica è toglierti dal malessere generato da quella tensione.
Vuoi liberarti. Togliere di mezzo ogni timore e tornare a respirare.
Il punto è proprio questo: per poter vivere adeguatamente un certo tipo di equilibrio emotivo dobbiamo considerare che tutto quello che sentiamo, che viviamo o semplicemente tutto quello che in un dato momento ci attraversa interiormente non va contrastato, ma va lasciato accadere nella sua legittimità.
Sembra che gran parte del nostro viaggio consista nell'arrivare a un punto in cui siamo in grado di sapere cosa stiamo sentendo, momento per momento, e impariamo a esprimere quelle sensazioni quando è appropriato. Questo viaggio consiste nell'uscire da uno stato di protezione inconscia e nel ripristinare un contatto con le nostre sensazioni e la nostra integrità.
Krishnananda Tweet
Sapere cosa stiamo sentendo, momento per momento, riconoscere ogni nostro pensiero, ogni nostra sensazione, ogni nostra attivazione di fronte ad un evento, la particolare reazione che abbiamo di fronte ad una persona significa conoscere che cosa siamo intimamente e come funziona il nostro particolare modo di stare al mondo.
Questo significa pure legittimare ogni sorta di emozione, di pensiero, intuizione, sensazione che si muove dentro di noi come reale, come esistente.
Per fare tutto questo è necessario acquisire un particolare sviluppo della tua personalità e con esso un particolare atteggiamento consapevole.
Un genere di atteggiamento che solo nel momento in cui non si rifiuta più nulla, non si contrasta più nulla di sé, si può ottenere.
In questo senso la paura non va abolita o cancellata:
la paura ci serve per segnalarci che stiamo desiderando qualcosa che vale la pena di contattare.
Ecco il trucco, la magia: non chiudere, apri.
Non nasconderti, mostrati.
Non tacere, esprimiti. Se hai paura, chiedi aiuto.Simona Vinci Tweet
Questo è il mio lavoro, questo è il mio impegno!
Un saluto, a presto.
Michele Accettella
Sono psicoterapeuta abilitato all’esercizio permanente dall’Ordine degli Psicologi del Lazio.
In oltre 15 anni ho accumulato più di 15.000 ore di lavoro in ambito clinico, come psicologo e come psicoterapeuta.
Per diventare analista junghiano, per oltre 5 anni, sono stato anch’io in terapia, poiché per conoscere l’altro è necessaria una conoscenza approfondita di sé.
L’attenzione al lavoro clinico, ancora oggi, viene periodicamente rinnovata negli incontri riservati di supervisione che svolgo presso il “CIPA – Centro Italiano di Psicologia Analitica“: un’associazione che da oltre 50 anni cura la formazione degli psicoterapeuti junghiani in Italia, di cui sono “Membro del Comitato Direttivo Nazionale”.
Sono Psicologo Analista abilitato alla docenza, alle analisi di formazione e alle supervisioni presso la “Scuola di Specializzazione in Psicoterapia” del CIPA riconosciuta dal MUR.
Dal 2021 al 2025 sono eletto Segretario scientifico e Direttore della Scuola di psicoterapia dell’Istituto di Roma del CIPA.
Dal 2019 sono stato iscritto nell’Albo dei docenti esterni di 1° Livello – Area C di Roma Capitale.
Michele Accettella
2006-2023, © Michele Accettella – Tutti i contenuti sono riservati.
Il sito (www.micheleaccettella.com) rispetta le linee guida nazionali del CNOP in materia di pubblicità informativa delle attività professionali sanitarie, nel rispetto dell’art. 40 del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani.
Disclaimer – Tutti i contenuti presenti in questo sito internet hanno finalità divulgative. Non possiedono alcuna funzione di tipo diagnostico e non possono sostituirsi al consulto psicoterapeutico specialistico.
Studio: 00179 ROMA – via Iacopo Nardi, 15
P.IVA: IT02176530695 – info@MicheleAccettella.com
Ordine degli Psicologi del Lazio – n. 19065 dal 17/02/2006
Laurea in psicologia (2004) – Università degli Studi di Firenze
Abilitazione all’Esercizio della Professione di Psicologo (2006)
Università “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara
Specializzazione in Psicoterapia ad Orientamento Analitico Junghiano (2011)
CIPA – Centro Italiano di Psicologia Analitica di Roma
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